Le aree più a rischio in Italia per dengue e chikungunya secondo uno studio ISS: periferie urbane e zone costiere sorvegliate speciali.

11 Luglio 2025 di Letizia

Un nuovo studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alla Fondazione Bruno Kessler e pubblicato sulla rivista Nature Communications lancia un chiaro allarme: le periferie urbane e i centri lungo le coste italiane sono tra le aree a più alto rischio per la trasmissione autoctona di dengue e chikungunya, malattie virali tropicali trasmesse dalla zanzara tigre (Aedes albopictus).

Epidemie locali anche in Italia: i numeri

Tra il 2006 e il 2023 sono stati documentati 388 casi autoctoni di dengue e 93 casi di chikungunya in Italia. Si tratta di infezioni trasmesse localmente da zanzare tigre, quindi non contratte all’estero ma sviluppatesi all’interno dei confini nazionali. Gli esperti hanno analizzato diversi focolai emblematici, tra cui Montecchio (2020), Castiglione d’Adda e Roma (2023) per la dengue; Castiglione di Cervia (2007), Anzio e Guardavalle (2017) per la chikungunya.

Oltre ai casi locali, il periodo ha registrato 1.435 casi importati di dengue e 142 di chikungunya, la maggior parte legati a viaggi in Paesi dove queste malattie sono endemiche, come Thailandia, Cuba, India, Maldive, Brasile e Repubblica Dominicana.

Dove si rischia di più e perché

Secondo la ricerca, le aree più vulnerabili non sono solo quelle dove si sono già verificati contagi, ma anche molte altre con caratteristiche simili. Parliamo di zone densamente popolate, con clima favorevole e presenza stabile della zanzara tigre: quartieri periferici di grandi cittàlocalità turistiche costiere, ma anche piccoli centri rurali con condizioni ambientali idonee.

Ciò che emerge con forza dallo studio è che la comparsa di un’epidemia è in parte legata al caso: un viaggiatore infetto che rientra dall’estero, se punto da una zanzara tigre in estate, può innescare una trasmissione locale anche in zone dove in passato non si sono verificati focolai.

Woman scratching shoulder with insect bite outdoors, closeup

Sorveglianza e prevenzione: la chiave per contenere il rischio

È molto difficile sapere dove di preciso potrebbe partire un’epidemia”, spiega Marco Di Luca, entomologo dell’Istituto Superiore di Sanità. Per questo motivo, secondo i ricercatori, la sorveglianza deve essere estesa a tutto il territorio nazionale, senza limitarsi alle zone che hanno già registrato casi.

La prevenzione si gioca su due fronti. Da un lato c’è il sistema sanitario, con medici di base chiamati a intercettare tempestivamente i casi sospetti, soprattutto in pazienti di rientro da viaggi tropicali. Dall’altro lato c’è il contributo dei cittadini: evitare di farsi pungere, utilizzare repellenti, abiti coprenti, zanzariere e, soprattutto, eliminare i ristagni d’acqua, che rappresentano l’habitat ideale per la riproduzione della zanzara tigre. Anche ciotole per animali, sottovasi e tombini possono trasformarsi in focolai se non trattati con cura.

Un rischio diffuso, ma gestibile

Il quadro tracciato dallo studio sottolinea come il rischio non sia confinato a specifiche aree, ma sia esteso e potenzialmente ovunque. È quindi essenziale un approccio preventivo coordinato: monitoraggio attivo, informazione capillare e comportamenti individuali responsabili.

L’obiettivo non è solo evitare nuove epidemie, ma anche costruire una cultura della prevenzione che possa limitare l’impatto di un fenomeno ormai strutturale nei mesi più caldi. La presenza della zanzara tigre in Italia non è più una novità, ma la diffusione di virus tropicali può essere evitata con interventi puntuali e consapevolezza diffusa.

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