In questi giorni nelle sale è arrivato Il Gladiatore 2, che si vuole proporre come ipotetico sequel del film con Russell Crowe che ha segnato una generazione. Senza fare spoiler, è importante comprendere alcuni elementi del mondo romano che vengono toccati nel film. Filologicamente ovviamente non è un documentario, quindi non possiamo aspettarci un’accuratezza storica impeccabile, ma quantomeno la verosimiglianza dell’ambientazione.
Abbiamo voluto analizzare un elemento molto interessante che emerge in questo film, ossia il rapporto che si aveva nell’antica Roma con gli animali. Chi ha già beneficiato della visione si è interrogato moltissimo su questo argomento. La prima querelle è nata per la naumachia all’interno dell’Anfiteatro Flavio, con relativi squali per rendere più d’effetto la scena.
Gli squali nel Colosseo: Il Gladiatore 2 è attendibile?
La risposta a questa domanda è positiva, ossia lo stesso Dione Cassio, narra che ai tempi dell’inaugurazione del Collosseo era stata ricostruita una battaglia navale e Marziale nel Liber de Spectaculis dice testaulmente “L’Anfiteatro in poco tempo si riempì d’acqua con stupore degli spettarori”. Marziale nel caso specifico, parla della ricostruzione teatrale del mito di Leandro ed Ero. L’imperatore Domiziano stesso organizzò una battaglia navale.
Quello che forse gli sceneggiatori non sapevano è che fu proprio l’imperatore Domiziano a ordinare di costruire l’ipogeo. Ossia la serie di cunicoli, vani e ascensori alla base dell’arena che da quel momento non sarebbe più stata in grado di ospitare una naumachia. Dal momento che il film è ambientato dopo la morte di Commodo e parecchi decenni dopo Domiziano, a livello storico questa scena è completamente anacronistica.
I rinoceronti e i romani
In una scena del film un enorme rinoceronte entra nell’arena e carica il povero Lucio. I romani conoscevano i rinoceronti, questa è una verità. In alcune pitture egizie del 3.000 a.c. sono raffigurati moltissimi rinoceronti. Nel 331 a.c. Alessandro Magno aveva ricevuto in regalo dalla regina dell’attuale Sudan 80 rinoceronti.
Svetonio ci narra che l’imperatore Augusto aveva pensato di organizzare spettacoli che prevedessero il coinvolgimento di rinoceronti. Il rinoceronte ovviamente non era gigantesco come quello visto nel film, ma è una scelta stilistica per rendere la scena impattante.
I cani dell’antica Roma
Possiamo anche parlare di diverse razze di cani nella quodidianità della Roma imperiale. Ad esempio, il Laconico e il Molosso erano usati per la caccia e la guardia del bestiame, e questi tipi di cani sono discussi in dettaglio dagli autori che si occupavano di agricoltura. Per quanto riguarda i cani da compagnia, una razza famosa era il Melitan: un cane da grembo. Questo cane a pelo lungo con zampe corte e un naso appuntito può essere visto nella scultura ed è noto per essere stato popolare tra i cittadini di classe superiore.
Considerando che i Romani sono solitamente visti principalmente come soldati e politici rigidi, si potrebbe supporre che i cani fossero usati per la caccia, il tracciamento e la guardia di proprietà o bestiame. È noto che i cani erano, infatti, usati in guerra e per scopi di caccia, così come per la guardia, come attesta il più famoso mosaico di Pompei ( Cave canem ), ma erano presenti anche nel ruolo di migliore amico dell’uomo!
Tuttavia, non sappiamo molto sulla vita dei cani domestici nelle case dei loro padroni. Le fonti scritte di solito non trattano tale argomento, quello che ci è rimasto lo ricaviamo da lapidi ed epitaffi a loro dedicati. I cani erano amati e mancavano ai loro proprietari, non diversamente da come ci sentiamo oggi per i nostri animali domestici. Basta leggere questo epitaffio per un amato cane chiamato Myia:
“Quanto era dolce, quanto era gentile, quella che giaceva in grembo mentre era viva, sempre amica nel sonno e a letto. Oh, che vergogna, Myia, che tu sia morta… Abbaiavi solo se qualche rivale giaceva con la padrona, senza freni. Oh, che vergogna, Myia, che tu sia morta! La tomba profonda ti tiene già inconsapevole, non puoi andare via, né balzarmi addosso, né rallegrarmi con i tuoi piacevoli morsi.”
I gatti nell’antica Roma
I gatti non erano propriamente animali domestici tra i Romani. C’erano moltissimi gatti a Roma e probabilmente furono portati lì sulle navi dai coloni greci. Le prove collocano i primi ritrovamenti nel V secolo a.C. Non ci sono molti scheletri dell’era repubblicana, ma i numeri aumentano verso il periodo imperiale.
I gatti a Roma erano visti principalmente come acchiappatopi. Dovevano persino competere con donnole e furetti per questo “lavoro”, poiché questi animali venivano tenuti nelle case romane a tale scopo. Uno sguardo alle raffigurazioni dei gatti nei mosaici pompeiani potrebbe essere sufficiente per capire come essi erano considerati nella domus romana.
Molto interessante è che resti di gatti siano stati trovati in avamposti militari. I mici erano preziosi compagni per i soldati perché aiutavano a conservare il cibo dall’attacco di topi e ratti. Secondo Donald Engels, autore di Classical Cats, la parola latina cattus nel significato di gatto fu usata per la prima volta in un contesto militare.
Sebbene nessun gatto sembri essersi guadagnato un epitaffio come molti cani, possono essere trovati su alcune stele funerarie, per lo più come compagni dei bambini. Anche se forse non erano visti come compagni amicali, erano sacri alla dea Diana e rispettati per la loro indipendenza, autonomia e libertà. Le poesie ampiamente note di Catullo sul passero della sua ragazza e la sua morte (Catullo 2 e 3), potrebbero, se lette letteralmente, portarci alla falsa impressione che gli uccelli fossero animali domestici ampiamente amati nell’antica Roma.
Gli uccelli dell’antica Roma
Gli uccelli erano effettivamente tenuti come animali domestici ed erano piuttosto popolari, ma apparentemente più come uno status symbol. Gli uccelli con peculiarità, come gli usignoli canterini, erano costosi e, se dovessimo credere a Plinio, potevano raggiungere il prezzo di uno schiavo umano!
Questo non significa che gli uccelli domestici non fossero amati dai loro proprietari, solo che le prove letterarie e artistiche mostrano uccelli in gabbia in un ambiente domestico o come forma di intrattenimento (uccelli parlanti). Di certo non erano oggetto di molti epitaffi, come lo erano i cani. Inoltre, Marziale scrisse un epigramma che ridicolizzava le sepolture degli uccelli.
Da moltissimi mosaici, sappiamo che il pavone era un favorito dalle matrone per il suo aspetto stravagante e gli era permesso di camminare liberamente nella proprietà. L’estetica di questo uccello straordinario ammaliava gli ospiti che passeggiavano all’interno dei giardini della domus.
Altri animali dalle origini antiche
Molto interessante per comprendere il rapporto con gli animali è che nella sola Pompei, sono state trovate oltre 70 strutture acquatiche all’interno di ville, molte delle quali contenevano pesci. Tuttavia, anche se fungevano da status symbol come gli uccelli, venivano allevati anche come cibo.
Secondo gli Scriptores Historiae Augustae, l’imperatore Eliogabalo possedeva alcuni orsi, leoni e leopardi che erano stati brutalizzati per renderli inermi. Infatti erano stati privati di denti e artigli. Venivano addestrati e usati come intrattenimento mentre veniva ordinato loro di sdraiarsi sui divani durante le feste per incutere timore tra gli ospiti ignari che gli animali fossero innocui. I serpenti sono accredati dagli storici come animali domestici in alcune abitazioni; il più famoso proprietario di serpenti fu l’imperatore Tiberio, che si dice li nutrisse personalmente.