Oggi parlare di mente animale non è più un tabù: l’etologia ha inaugurato la scuola cognitiva che, pur mantenendo la sua impostazione disciplinare di base, legge l’espressione comportamentale non più come un meccanismo ma come manifestazione di un pensiero. L’approccio cognitivo si basa sul pieno riconoscimento della soggettività dell’animale e sull’interpretazione mentalistica del suo comportamento, che viene visto come risultato del mondo interiore del soggetto. Già Darwin nel saggio “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali” aveva sottolineato il non senso, da un punto di vista evoluzionistico, della pretesa cartesiana di paragonare l’animale a una macchina.
Purtroppo il Novecento ha rilanciato tale visione dando un nome agli automatismi: gli istinti, quelli innati e configurati dalla selezione naturale, e i condizionamenti, quelli appresi e istruiti dalle esperienze. L’eterospecifico diviene così una sorta di burattino mosso da dei fili, privo perciò di un mondo interno e quindi di soggettività. Oggi tuttavia questa interpretazione va contro i risultati osservativi raccolti sul campo dagli etologi a partire dagli anni ’70 e peraltro viene smentita dalle scoperte di neurobiologia e dalle tecniche di neural imaging, come la risonanza magnetica funzionale, che ci consente di entrare nella mente animale e comprenderne il quadro di attivazione in un certo momento.
Affrontare il tema dell’apprendimento animale con approccio cognitivo significa superare l’idea che nell’acquisizione l’animale costruisca delle associazioni, ossia degli automatismi rigidi tra uno stimolo e una risposta, vale a dire dei condizionamenti, e iniziare a pensare che anche per gli animali apprendere voglia dire formarsi delle conoscenze. Mentre l’associazione è una struttura deterministica che permette una sola funzione, per cui dato lo stimolo ho la risposta, il modello proposto dall’approccio cognitivo interpreta la conoscenza come una mappa che dà delle coordinate di percorso ma consente una molteplicità di itinerari. Le conoscenze non sono dei fili, ma delle dotazioni ovvero degli strumenti a disposizione dell’individuo.
L’approccio cognitivo ovviamente non modifica solo la lettura del processo di apprendimento, ma prima di tutto la didattica ovvero il modo di promuovere un’acquisizione e di insegnare un particolare contenuto. Nell’approccio non mentalistico il discente è passivo, non è cioè attore del processo di apprendimento, perché partendo dal presupposto che non possiede una mente non ci si sforza di farlo ragionare sul problema ma si attende che casualmente metta in atto il comportamento che desideriamo o un’approssimazione ad esso e quindi lo si premia. Se viceversa considero il soggetto un’entità pensante, attiva e protagonista nell’apprendimento, andrò a favorire le sue capacità valutative e solutive, metterò in atto una situazione di didattica capace di evocare le risorse utili per quel particolare apprendimento, andrò a sollecitare quelle componenti motivazionali ed emozionali che sostengono l’azione esperienziale.
Nell’educazione del cane l’approccio cognitivo ha letteralmente rivoluzionato il modo di impostare la didattica sia nella definizione delle aree di intervento che nella struttura degli esercizi stessi e, più in generale, negli obiettivi che ci si prefigge. C’è un legame stretto tra impostazione non mentalistica e addestramento perché in entrambe prevale la definizione di standard performativi molto rigidi quasi a trasformare il cane in una macchina al servizio dell’uomo. L’approccio cognitivo, al contrario, è pedagogico, mira cioè all’evoluzione globale del soggetto cercando di renderlo equilibrato, bilanciando le diverse componenti; arricchito, aumentando per quanto possibile le sue conoscenze; flessibile, lavorando sulle sue capacità solutive e sulla memoria; riflessivo, dando un indirizzo all’espressione delle sue emozioni e motivazioni. L’obiettivo pedagogico mira a dare al cane adattamento e gratificazione, capacità prosociali e di integrazione: è cioè un progetto per il futuro del cane basato sul dargli conoscenze (da cui la parola “cognitivo”), perché le conoscenze rendono liberi mentre i condizionamenti hanno il sapore della schiavitù.
Roberto Marchesini