I Rottweiler nella Pet therapy
Specializzatasi nel campo degli Interventi Assistiti dall’Animale presso la Fondazione Hollman di Cannero Riviera (VB) secondo il Metodo Naturale di Elide Del Negro, la psicologa Maria Teresa Fioravanti si occupa di Pet therapy dal 2000. «Ho sempre avuto Rottweiler a casa, anche se il mio primo maschio non aveva un carattere idoneo alle attività di assistenza. Per anni ho utilizzato una Border Collie che veniva dal canile. Poi, ho preso una femmina di Rott e ho subito capito che sarebbe stata idonea a questa attività. Io e mio marito, Simone Checcherini, che da anni educa e prepara a livello sportivo Rottweiler, l’abbiamo testata in una serie di circostanze per non cadere nei rischi dell’improvvisazione che in questo ambito non sono ammissibili. Oggi per fortuna le linee guida nazionali sugli IAA prevedono un apposito test di idoneità per i binomi, ma nel 2003 questo concetto non era diffuso. Successivamente ne ho parlato con la struttura con cui operavo, che era giàsoddisfatta del lavoro svolto, e con i genitori. Devo dire che l’hanno accolta bene, avevano comunque fiducia in me, e per i ragazzi non c’è stata alcuna differenza: per loro un cane è un cane, che sia Border Collie o Rottweiler. I pregiudizi appartengono più al mondo degli adulti. Negli anni ho lavorato anche con altri Rott, alcuni dell’allevatore Lanfranco Duranti, sviluppando diversi progetti».
La dottoressa Fioravanti spiega quali caratteristiche rendono i Rottweiler adatti alle attività di assistenza:«In realtà non ci sono razze più idonee di altre, tutto dipende dalle doti caratteriali dei singoli. Tra i Rott, tuttavia, c’è una maggiore frequenza di soggetti che hanno un atteggiamento altamente prosociale: del resto si tratta di cani che hanno bisogno di sentire il contatto con il proprietario, sono molto disponibili alle coccole, soprattutto le femmine. Sono calmi e abbaiano poco: questo è importante, perché altrimenti gli utenti potrebbero spaventarsi. Allo stesso tempo hanno un approccio molto fisico, direi che sono una “presenza avvolgente”. Tutte queste caratteristiche favoriscono i Rott, ma non dobbiamo mai dimenticare che occorre scegliere soggetti che abbiano un ottimo equilibrio e questo significa, innanzitutto, soggetti che abbiano ricevuto un’ampia socializzazione e che abbiano avuto la possibilità di familiarizzare con diverse situazioni, perché nelle strutture in cui operiamo le variabili possono essere moltissime».
I Rottweiler nella Pet therapy: come avviene l’approccio con l’utente?
«Dipende dalle situazioni. A volte l’utente ha paura del cane, allora io e il cane iniziamo a farci le coccole tra noi e lasciamo che l’utente si avvicini gradualmente, con i suoi tempi. Altre volte, l’utente si avvicina subito e allora cerco di insegnargli l’approccio corretto. Ci sono poi situazioni in cui mi avvalgo di un conduttore in modo da poter seguire più da vicino gli aspetti psicologici. Il nostro è un lavoro di équipe e, per fortuna, oggi si sta mettendo un po’ di ordine in questo settore. C’è una nuova normativa e, sebbene manchino ancora i decreti attuativi a livello regionale, si sta lavorando sulla formazione e sull’uniformità dell’approccio. Finora c’era un po’ di “giungla” e di confusione tra le diverse figure, quelle che arrivano dal mondo sanitario, da quello cinofilo o i semplici privati che vogliano avvicinarsi a queste attività con il proprio cane. Ora, finalmente, si sta lavorando per un riconoscimento della professione e per un percorso formativo condiviso». C’è un caso che le è rimasto nel cuore? «All’inizio del mio percorso con la Border Collie c’era un ragazzo con atteggiamenti di chiusura ai limiti dell’autismo, che rifiutava ogni attività. Ci siamo messi in cerchio con gli altri ragazzi a giocare con la cagnolina. Ebbene, già alla fine della prima seduta il ragazzo ci ha raggiunti nel cerchio: è stato molto emozionante». La dottoressa Fioravanti ritorna, infine, sulla questione del pregiudizio nei confronti della razza:
I Rottweiler nella Pet therapy: « Chi prova un Rott non lo lascia più».
«È in corso un attacco mediatico non indifferente nei confronti dei Rottweiler ma, in generale, è l’approccio culturale a essere sbagliato. Spesso, anche chi adotta un cane di questa razza ne ha un’idea sbagliata: pensano di avere preso un cane “antifurto”, utile solo per fare la guardia.
Ma il Rott non è così: ha bisogno del contatto fisico, di condividere la vita con il suo proprietario, se lasciato a se stesso, invece, tira fuori il peggio. Bisogna smantellare l’idea che questi cani servano per la guardia». Un percorso lungo ma che vale la pena intraprendere perché, come ci ricorda la dottoressa con voce emozionata, «chi prova un Rott non lo lascia più».
Lo speciale sulla razza Rottweiler lo trovate nel nuovo numero de il mio cane in edicola dal mese di maggio e disponibile online