Scopri come diventare operatore Pet Therapy e il ruolo fondamentale dei gatti nel supporto di una terapia riabilitativa.

6 Ottobre 2022 di Redazione

La gran parte dei non catofili pensa alla “pet therapy”, l’attività assistita con gli animali come sarebbe più corretto dire, un’attività riservata ai cani. Nulla di più sbagliato: in questo articolo scopriremo come possa esistere anche la “gatto Terapia” e come si diventa operatore Pet Therapy.

In cosa consiste la Pet Therapy?

È molto importante ricordare che la “pet therapy” è una vera e propria attività educativa e terapeutica, regolata da Linee guida nazionali approvate dal Ministero della Salute, condotta da equipe specializzate. Sono molte, infatti, le strutture sanitarie che comprendono questo genere di programma ospitando al loro interno spazi dedicati per permettere ai loro pazienti, di tutte le età, di accedere a questo tipo di terapia. Non ultimo l’Ospedale Niguarda di Milano che ospita anche un vero e proprio maneggio all’interno dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatra infantile. I risultati positivi sono chiari e noti a medici, psichiatri, psicologi ed educatori. Per questo, si prescrivono spesso a supporto di terapie riabilitative di ogni tipo.

I professionisti

Ma come si diventa professionisti in questo settore? Lo abbiamo chiesto a Lino Cavedon, psicologo e psicoterapeuta. Cavedon ci tiene a sottolineare che «È importante puntualizzare bene che chi opera nell’ambito della pet therapy deve essere un professionista formato e specializzato. Sarebbe sbagliato pensare che il rapporto tra un paziente e un animale venga seguito da un solo responsabile esperto di animali senza una qualifica precisa“.

Ogni paziente è, infatti, seguito da una équipe che è composta da un medico veterinario (che ha la responsabilità della condizione igienico-sanitaria e comportamentale dell’animale, da un I professionisti coadiutore dell’animale (che fa in modo che l’animale offra il meglio di sé in seduta), e da uno psicologo o psicoterapeuta (o da altri professionisti della riabilitazione) che, come referente della persona, imposta la terapia e valuta i progressi ottenuti. Tutti questi professionisti devono aver seguito corsi di specializzazione approvati dalle regioni, inerenti a tutte le figure che compongono l’équipe stessa. Una volta concluso il percorso di specializzazione vengono inserite in una piattaforma multimediale chiamata “Digital Pet” in cui sono presenti tutti i professionisti abilitati a questo genere di attività».

Ok i cani, ma i gatti?

Fin qui abbiamo parlato della parte “umana” della squadra, ma per quanto riguarda il vero protagonista, ossia l’animale, come funziona? «Non è vero che la “pet therapy” si può attivare indistintamente con tutti gli animali», ci svela Cavedon. «Si possono ottenere ottimi risultati soprattutto con cani, cavalli, asini e conigli. Se si volessero attivare programmi con animali diversi è necessario chiedere una specifica autorizzazione al Centro di Referenza Nazionale».

E il gatto? «Col gatto dobbiamo acquisire maggiori competenze nell’individuazione precoce della sua predisposizione relazionale, avviando presto un percorso educativo/formativo. Si sta ancora lavorando poiché sono animali che, per loro natura, faticano di più ad adattarsi velocemente ad ambienti nuovi come camere d’ospedale o spazi dedicati. Il gatto, infatti, per sua natura è molto legato al territorio e impiega tempo per perlustrare una stanza, specie se è quella di un ospedale in cui sono presenti odori di detergenti o disinfettanti, poco familiari. Quando si porta un gatto in un ambiente che non è il suo abituale passa buone mezzore ad annusare ogni singolo oggetto rendendo tempistiche e modalità di una seduta decisamente più complesse di quelle vissute con un cane, rischiando di stressare l’animale, senza garantire i giusti benefici per il paziente.

Tuttavia, va detto che il gatto è in grado di ottenere risultati davvero importanti su persone con deficit psicologici o motori per molti motivi. È piccolo e sta facilmente in grembo a farsi accarezzare. Il pelo morbido stimola l’accarezzamento e la voglia di stabilire un contatto profondo. Le fusa riescono a favorire uno scambio empatico di grande importanza soprattutto per gli anziani con problematiche di demenza e Alzheimer. Ma anche persone con problemi motori importanti o, ancora, bambini con problematiche di attenzione. A Milano, per esempio, è attiva l’équipe Tempo per l’Infanzia, coordinata dalla dottoressa Elena Sposito. Lei lavora benissimo coi gatti riuscendo a portarli nelle scuole e nelle case di risposo, al punto da aver raccolto le loro esperienze in un libro di prossima pubblicazione».

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